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Collana/Poesia/

Titolo: Ora vi cuntu un cuntu

Autore: Gaetano Libertino

Formato: 14,8x21 cm

brossura

84 pagine

Copertina: Studio Maurizio Vetri

isbn 978-88-90530-8-7

Prezzo di copertna: Euro 10,00

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QUEL CAPPOTTO

CHE NON TI HO COMPRATO

 

Sceneggiatura integrale del film con foto di scena di Gaetano Volante

quel cappotto che non ti ho comprato

A te che hai questo libro tra le mani, voglio dare un consiglio: sfoglialo con delicatezza, leggilo con garbo. Perché quando si entra nell’Anima di qualcuno, lo si fa in punta di piedi, con discrezione.

E’ questa sensazione che sentirai man mano che procederai nella lettura. Ti addentrerai nell’Anima dell’autore, ne scruterai i meandri, i labirinti, le sinuosità fatte di ricordi, di storia, di cultura, di spiritualità.

Sorriderai mentre il bambino di ieri, pur tra stenti e privazioni, ha voglia di scherzare con sua madre e intavola con lei un finto battibecco che culmina con una meritata “gargiata”.

Ti commuoverai quando l’autore ti accompagnerà lungo un percorso in cui i momenti di gioia emergono con prepotenza, nonostante i dolori e le sofferenze che hanno caratterizzato l’intera vita di una madre. E’ un amore smisurato quello che si innalza dalle sue parole. Un amore che non si arresta neanche di fronte alla morte. E tu, Lettore, sarai coinvolto dal sentimento di ammirazione per questa “grande” donna il cui bel cuore, capace di perdonare, di non fare del vittimismo il suo status, vince su qualunque difetto fisico. E l’unica zoppia che sopravvive, nella lirica “17/Agosto/1913”, è quella dell’ignoranza, dell’aridità d’animo della gente che addita, che isola, che usa violenza.

E ancora, se sei un giovane lettore, in questo libro scoprirai un mondo che non è facile trovare sui testi di storia, perché non è fatto solo di grande avvenimenti, ma di sfaccettature, di piccoli racconti di un tempo che fu. Dei mestieri di una volta, quelli per cui “faceva mali la carina”, quelli per cui si ritornava a casa solo ogni tanto e che portavano a dire: “Me figliu jè picciddu, crisci di jurnu e jurnu. U viu ogni quinnici jorna, picchissu mi n’addugnu!”.

Gaetano Libertino, nelle sue liriche predilige l’uso del dialetto e, in questo modo, con maestria, riesce a dare alle sue parole colori e sfumature che altrimenti apparirebbero sbiaditi: “Gesuzzu è natu”, lo annuncia “a Stidda ca cuda”, e bastano poche parole per evidenziare l’aspetto intimo e tenero della relazione col Divino.

“Un sintu chiù i gammi, parunu fogli o vintu”, dice l’autore, e in questa breve frase riesce a immettere tutta l’angoscia, mista a felicità, di un uomo che sta per diventare nonno.

O ancora, “A taliu ‘nsilenziu, un ci’accarizzu a manu, sungu siddiatu: si nni và “luntanu”, dice in occasione del matrimonio della figlia, e conclude con “Però e capitu  e sacciu  pirchì, ddu jurnu jera sulu “tristi” ppi mì”. In poche righe, l’osservazione sincera di un lavorio interiore difficile da descrivere e, soprattutto, difficile da sviscerare.

Caro Lettore, come avrai a questo punto compreso, leggendo questa raccolta di Poesie, ti sarà dato modo di andare in profondità nell’anima dell’autore per quanto riguarda i legami, gli affetti, i rapporti che descrivono una Storia in cui diverse generazioni si susseguono sul palcoscenico della Vita. Ma, non solo.

 In questo percorso, Gaetano Libertino cura, con la destrezza che lo contraddistingue, anche la scenografia che fa da sfondo alla Storia. E così, ecco che un’altra occasione ti sarà data: quella di scoprire l’anima della sua città.

Enna, “ Lu paisi di tutti li re”, “ Rosa d’eroi e semidei rignanti”, viene descritta in tutto il suo splendore e la sua decadenza, con le sue bellezze e le sue contraddizioni, con l’amore e il senso di appartenenza a un luogo caro, e l’impotenza nel non riuscire a frenare la sua deriva:

“Stu paisi ca dormi sempri e pari cuitu

E canta ancora “sciuri sciuri”senza jatu…”

 

Il grido di dolore di Gaetano Libertino per un Paese che offre ben poco ai suoi concittadini, fa dire all’emigrante “Partu pirchì è no destinu di li poveri, ne stu Paisi si po’ sulu moriri”, ma questo grido si smorza di fronte ai luoghi caratteristici, “Fonti di biddizza”, ai quartieri, agli usi, alle qualità che, in maniera giocosa, attribuisce agli abitanti dei diversi rioni della città.

A “San Catà” sono Gentili. A “San Martulumì” sono Dispunuti. A “San Milasi” ci sono i Curnuti, e così via, tra il serio e il faceto. L’uso dell’Ironia gli permette di delineare una mappa insolita di Enna, con aspetti intrinseci e caratteristici dei suoi concittadini, retaggio di un patrimonio culturale che affonda le sue radici nella storia antica della città.

Il ritratto di Enna che viene fuori è quindi quello di una città piena di contrasti: problematica, ironica, malinconica, a tratti gioiosa, ma mai senza speranza.      Capace di risorgere, come l’Araba Fenice, dalle sue ceneri.

 

E forse, il mito di Proserpina, così come lo illustra Gaetano, ne descrive la sua ineluttabile essenza:

 

“Chistu e’ lu ranni mitu  di na carusa rara

C’a’ fu’ di ranni esempiu ‘ppi la so Henna cara.

Stu ranni sacrificiu, fici po’ so paisi

A stari sutta terra e “sbocciari” ogni sei misi....”

 

Elena Pirrera

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